Frammenti #2 – Il sole dietro le sbarre

Come indicato precedentemente, compariranno su questo sito, a cadenza rigorosamente irregolare, alcuni frammenti, sparsi qua e là. Si tratta di testi di lunghezza (anch’essa) rigorosamente irregolare, da poche brevi frasi, quasi a comporre delle poesie in prosa, fino a testi più lunghi. Sono riflessioni, considerazioni varie ed eventuali, a volte di carattere episodico, a volte più articolato. Essendo questo sito un mio spazio personale, ho deciso di aggiungervi questi testi privi di una definizione precisa, accompagnati, a volte, da un’immagine. Qui il frammento numero 1.


Deve pur esserci qualcosa, oltre l’orizzonte. Deve pur esserci qualcosa, che io non vedo. Deve, ma il mio sguardo non può afferrarne la forma.


Scrivo, per combattere il buio. Non il buio che regna, là fuori, a quest’ora (sono le nove passate, di sera), e che mi trasmette protezione. Tento di combattere il buio strapiombante di un oscuro color porpora, livido, che mi invade la mente e l’anima.

L’anima, questa entità inventata per darci un contegno di fronte al nulla che furoreggia dentro e, spesso, anche fuori di noi. L’anima che, se esistesse e fosse chiamata a pronunciar parola, direbbe: “Luce! Voglio luce!”


Ma essa non esiste ed è così che la battaglia si fa impari. Le tenebre sono troppo estese, per poterle restringere; il sangue troppo dilagante dalla ferita, per poterlo contenere. Ogni cosa si tinge di nero e rosso. Un rosso cupo e denso, che si appiccica addosso più del nero e non va più via.

I colori del trauma inestirpabile sono sempre gli stessi e non si stemperano mai. Certamente, non finché esso rimane privo di sbocco. Non fintanto che nessuno lo ascolta sul serio, fino in fondo.


Fino in fondo. Un’espressione terrificante, che sta a designare il dolore vissuto da una mente impossibilitata a trovare una via di comunicazione con chiunque si trovi al di fuori di essa. Questo è il significato di “fino in fondo”.


Fino in fondo al nero e al rosso, parimenti oscuri e non negoziabili. Due colori gettati lì da qualcuno, molto tempo fa. Distrattamente. Come una cosa perfettamente naturale.

Un silenzio può durare per sempre? Sì, può.
Un silenzio può uccidere chirurgicamente? Sì, può.
Un silenzio può essere l’arma più distruttiva sulla faccia della terra greve che ci circonda? Sì, può.


Deve pur esserci qualcosa, oltre l’orizzonte. Forse, dopo tutto, qualcosa c’è, in effetti: è il sole dietro le sbarre. Un sole costretto, come tutti, entro un ciclo di vita predefinito, dal quale non gli è concesso sgattaiolare via.


Il sole dietro le sbarre di una mente in apnea, alla ricerca di un contatto umano impossibile da individuare. L’umanità è un’illusione ottica e, forse, nemmeno questo.
Il sole dietro le sbarre emette un ghigno beffardo. Credi ancora che qualcuno dotato di nome e cognome ti parlerà? — mi chiede.
Domanda senza risposta.


Deve pur esserci qualcosa, oltre l’orizzonte, ma temo di sapere di cosa si tratta. La penna mi cade di mano, insieme alle parole per esprimere ciò che la mia mente sta pensando. Una sola parola, in realtà, che mi è stato vietato pronunciare. Non sta bene, dicono. Inutile sforzarsi di raccogliere la penna e la parola. Domani sarà un nuovo giorno. Forse.

Deve pur esserci qualcosa, oltre l’orizzonte. Deve pur esserci qualcosa di umano, dentro la parola impronunciabile… Un buco nero capace di inghiottire qualsiasi cosa e dal quale nemmeno la luce può fuoriuscire. Ecco cosa c’è, al di là del buio e al di là della parola.


Eppure, una voce sempre più lontana, che ormai si è spostata verso il rosso e sta per scomparire al di là dell’orizzonte dell’Universo visibile, mi sussurra, flebile: “Deve pur esserci qualcosa, oltre l’orizzonte…” Forse…

Pubblicato da gchiarol

Autore di romanzi e racconti

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