Questo pezzo è stato pubblicato per la prima volta circa un anno fa. Lo ripropongo nuovamente, con qualche aggiunta e, qua e là, qualche piccolo aggiustamento. Lo faccio perché le questioni poste in evidenza lo scorso anno sembrano essere ancora perfettamente valide oggi. Forse, paradossalmente, oggi sono ancora più valide di ieri, giacché siamo in presenza di inquietanti rigurgiti fascisti in cui si ripropongono accostamenti imbarazzanti e offensivi tra le pratiche del Terzo Reich e i provvedimenti anti-COVID a tutela della salute pubblica e a tutela (non dimentichiamolo) delle cosiddette categorie a rischio. Viviamo sempre in un Paese che mai ha fatto i conti col proprio passato e specielmente col fascismo e con le sue origini, vale a dire la Grande Guerra. Viviamo sempre nel Paese in cui un Ministro degli Interni (ma sarà ancora il caso di usare le maiuscole?) ha potuto impunemente (e nell’indifferenza generale) equiparare bellamente le foibe ad Auschwitz. Viviamo sempre, dopo tutto, nel Paese che non riesce a sciogliere Casapound e tutta l’accozzaglia di organizzazioni fasciste che le stanno intorno. Viviamo in Italia, insomma: il Paese dove non manca mai la citazione da Se questo è un uomo, ma manca sempre la constatazione che fu un delatore italiano a far arrestare Primo Levi e i suoi compagni resistenti in mezzo alle montagne e che furono i fascisti a spedirlo a Fossoli, da dove partivano i convogli ferroviari diretti in Germania o, come nel suo caso, ad Auschwitz. Ecco il perché della riproposizione di questo pezzo sull’ennesima incipiente Giornata della Memoria che, ci sarà da scommetterlo, si trasformerà facilmente nell’ennesima occasione sprecata per approfondire uno tra i capitoli più bui della nostra storia.
Premessa: questo pezzo, volutamente, non contiene immagini. La scelta è motivata da una semplice ragione. Per una volta, concentriamoci sulle parole e non su ciò che colpisce più facilmente gli occhi.
Lo ammetto subito. Non sono mai stato un amante delle giornate intitolate a ricordare qualcosa. Ci sono troppe giornate e troppe persone che si lavano la coscienza grazie al fatto di aver ‘ricordato’ qualcosa in una certa data del calendario. A cosa servono, dunque, le giornate come quella della Memoria istituita il 27 gennaio?
Dovrebbero servire a ricordare, a tenere attiva la memoria. In realtà, è vero tutto ciò? O non è, più che altro, maquillage? Forse sarò controcorrente, non lo so, ma ho sempre di più l’impressione che la Giornata della Memoria sia solo un vuoto esercizio retorico per lavarsi la coscienza e versare la lacrimuccia d’ordinanza sul destino delle vittime dello sterminio nazista. Non riesco a liberarmi dalla sensazione che si ricordi solo ciò che fa comodo ricordare, tralasciando tutto il resto.
Ci si limita sempre di più a sottolineare quanto i tedeschi fossero cattivi, condividendo magari la classica immagine del binario ferroviario all’ingresso del campo di Auschwitz come inderogabile corollario, ma ci si guarda bene dall’approfondire la questione.
Vorrei, dunque, buttare lì qualche domanda alla quale in uno spazio come questo non sarà possibile dare risposta. A volte, però, l’importante è iniziare a farsele, le domande, soprattutto in tema di sterminio nazista e argomenti correlati, perché la memoria non deve essere selettiva. La memoria deve mantenere in vita tutto ciò che può aiutare a chiarire una questione, anche quando si tratta di argomenti scomodi.
Siamo italiani. Perché nessuno ricorda (o, se lo fa, non lo fa con la dovuta insistenza) quanto l’Italia fascista abbia collaborato attivamente allo sterminio e alla persecuzione degli ebrei? Perché nessuno si sforza di ricordare fino in fondo le leggi razziali italiane? Leggi che, giustamente, lo storico Michele Sarfatti (tra i massimi esperti di storia degli ebrei d’Italia e della loro persecuzione) ha proposto di definire per ciò che sono: leggi razziste. Perché nessuno si sforza di elencare le nefandezze di Mussolini e dei suoi collaboratori? Perché, insomma, il ruolo degli italiani non viene mai ricordato, come se esistessero solo i nazisti? Ci si concentra su Primo Levi (quando fa comodo e senza contestualizzarlo in modo corretto, di solito), ma chi fu ad arrestare Levi nel 1943? E ancora: come mai nessuno ricorda che il delatore grazie al quale fu tratto in arresto era italianissimo? E perché, per una volta, non si cominciano a leggere gli altri testi di Levi, come ad esempio Il sistema periodico, per citarne uno più accessibile di Se questo è un uomo?
Vogliamo poi parlare della ‘celebrazione’ del Giorno della Memoria in un paese come il nostro, in cui non si sono mai fatti i conti col fascismo, con i risultati che sono sotto gli occhi di chiunque non abbia spento completamente il cervello? Si può fare un Giorno della Memoria in una nazione che non conosce nemmeno l’esistenza dei campi di concentramento e internamento fascisti (italiani, dunque, non dei nazisti)? Qualcuno ha mai sentito parlare del campo di Monigo, dove tanti civili hanno trovato la morte tra il 1942 e il 1943? Si trova alle porte di Treviso, chi abita nel nord est come me dovrebbe conoscerlo, ma non è così. Oppure il campo impiantato in terra jugoslava, nell’isola di Arbe dove migliaia di uomini, donne e bambini furono tenuti in tende fatiscenti in pieno inverno, senza medicine né cibo, provocandone spesso e volentieri la morte. Perché nessuno lo ricorda, sottolineando che era un campo italiano e non nazista?
Giorno della Memoria, ma a corrente alternata. L’elenco sarebbe pressoché infinito, ma qualcosa va pur detto. I crimini italiani, fascisti, in Jugoslavia, ad esempio. Perché nessuno ricorda l’invasione (senza dichiarazione di guerra) della Jugoslavia, nel 1941, dell’esercito italiano al fianco di quello nazista? Perché non si ricordano i paesi incendiati (con o senza persone dentro, indifferentemente), le deportazioni, i processi sommari, la trasformazione di Lubiana in un lager a cielo aperto nel corso di una notte? Perché non si ricorda la pulizia etnica attuata dal Regio Esercito tra il 1941 e il 1943 in queste terre? Tutto ad opera degli italiani. Perché i cattivi sono sempre e solo i nazisti? Non parliamo poi del colonialismo italiano in Africa, terreno sperimentale per le leggi di razziste contro gli ebrei. Qualcuno sa che la strage di copti (e cioè a dire perfettamente cattolici) di Debrà Libanos è stata la più grande ad aver coinvolto dei cristiani nel XX secolo e fu messa in atto dagli italiani? Nemmeno la chiesa li ricorda più, i copti di Debrà Libanos, probabilmente perché la loro pelle era nera anziché bianca. Ma proseguiamo pure a dire che i cattivi erano solamente i nazisti.
Vogliamo parlare della Risiera di San Sabba, a Trieste? E via con la stanza degli orrori nazisti. Ma a Trieste e in tutto l’Adriatisches Künstenland (la Zona Operazioni Litorale Adriatico) c’erano anche gli italiani della RSI, che si prodigarono in tutti i modi per aiutare i nazisti a dare la caccia agli ebrei e agli oppositori politici, spedendoli in Risiera (accertandosi prima di averli derubati e percossi). Perché nessuno parla del ruolo della polizia italiana di Trieste nella persecuzione e deportazione degli ebrei e degli oppositori della città che gli italiani desideravano possedere fin dalla Grande Guerra?? Perché nessuno parla dei collaborazionisti italiani (alcuni anche ebrei, purtroppo) che aiutarono le SS di Odilo Globocnik, il responsabile della polizia nazista e delle stesse SS di Trieste? Che dire, ad esempio, del ruolo svolto dal questore e dal prefetto di nomina fascista durante l’occupazione nazista di Trieste? E che dire della parzialità inquietante che ha caratterizzato lo svolgimento del processo (ovviamente intentato contro i soli nazisti) negli anni Sessanta del Novecento per perseguire i crimini messi in atto in Risiera? Per chi fosse interessato a questi temi rimando, oltre ai saggi storici propriamente detti, anche al mio romanzo La scomparsa di Luciano Engelmann, che approfondisce con gli strumenti del romanzo storico proprio il periodo dell’occupazione nazista di Trieste (ma anche la sua storia novecentesca precedente). Il libro contiene anche una postfazione ad opera dello storico Daniele Ceschin, che contestualizza ulteriormente proprio la trasformazione della Risiera in lager, l’occupazione nazista e il ruolo dei fascisti.
Insomma, ce ne sarebbero di argomenti, compreso il fatto che ancora oggi abbiamo una politica che esalta il fascismo in continuazione, in tutto l’arco parlamentare, a partire dalla zona più destrorsa fino a quella ormai ex sinistrorsa e trasformatasi da molto tempo in una copia carbone di quella destrorsa. Ma, ovviamente, è più comodo sostenere che i cattivi sono stati sempre e solo i nazisti. Gli italiani, in fondo, erano brava gente e, se hanno partecipato in qualche modo, è stato certamente per sbaglio.
Infine, prima di chiudere, vorrei spendere due parole su Schindler’s List, il celeberrimo film di Steven Spielberg che ogni anno viene riproposto in televisione e che sembra diventato anch’esso un accessorio irrinunciabile della Giornata della Memoria, insieme alla lacrima d’ordinanza da versare a comando. Tralasciamo quanto il riproporlo associandolo alla Giornata della Memoria contribuisca a banalizzare il film. Vorrei, invece, porre qualche domanda, pur essendo consapevole di non poter fornire qui le risposte, ancora una volta. Qualcuno si è mai accorto del ruolo, più o meno previsto, che il film ha svolto nella banalizzazione di Auschwitz a cui siamo giunti? Auschwitz è diventato una specie di marchio, ormai, per indicare un sinonimo di nazismo e anche per raccattare facili successi commerciali, ad esempio con operazioni editoriali oscene nelle quali compare la parola ‘Auschwitz’ nel titolo di un libro e, allo stesso tempo, si truffano i lettori spacciando per storie vere le fantasie e le distorsioni storiche dell’autore. Nessuno si prende la briga di approfondire. Alcune di queste osservazioni le fece, ancora una volta, Michele Sarfatti molti anni fa ormai. Qualcuno ha osservato, ad esempio, che Auschwitz è stato aperto nel 1940, mentre Hitler è arrivato alla carica di Cancelliere nel lontano 1933? Qualcuno si è chiesto cosa sia accaduto durante quei sette lunghi anni? Qualcuno ha osservato che, almeno all’inizio, Auschwitz non era un campo di sterminio di massa e, almeno fino al 1942, era possibile essere rilasciati dal campo? Questo non significa che Auschwitz non fosse un campo dove si moriva in grande quantità e non significa nemmeno che non fosse fin dalle origini un abominio, ma è importante conoscere i dettagli della questione. Quanti conoscono la storia dei campi nazisti, a partire dal lontano 1933, e conoscono l’uso dello strumento legale (o meglio, extra legale) della custodia preventiva che ne ha consentito la diffusione? I politici moderni hanno tentato e tentano di continuo di riproporla in tutte le salse possibili, perché è una misura di polizia, al di fuori della legge, che piace tanto a tutti i partiti politici.
Ma torniamo per un momento ancora al film. Spielberg ha mostrato solamente la parte di storia funzionale al suo film, com’era ovvio, ma nessuno si è preoccupato di sottolineare che la storia della Germania nazista non comincia d’un colpo, con Auschwitz, e che non ci si può limitare in nessun caso a sostenere che la parola ‘Auschwitz’ spieghi tutto. Se proprio bisogna celebrare questa Giornata della Memoria (ma tra un paio di settimane inizierà l’inevitabile coro del: ‘Ma allora le foibe?’ che uscirà dalla solita cloaca fascista), almeno facciamo lo sforzo di viverlo con un minimo di consapevolezza, magari guardando il film di Spielberg con maggiore attenzione, e indirizzandoci ad approfondire tutta la nostra storia e non solo quella che più ci fa comodo. Se essa continua a ripetersi, è anche perché sempre meno persone si interessano a conoscerla fino in fondo.
Piccola bibliografia, da intendersi in modo assolutamente non esauriente:
- Primo Levi, Il sistema periodico
- Nikolaus Wachsmann, KL – Storia dei campi di concentramento nazisti
- Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione
- Michele Sarfatti, Mussolioni contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938