Sì, la guerra si dirige verso di noi, anche se è chiarissimo che non la vogliamo. E l’America non si sottrae mai a una sfida.
James ellroy, perfidia

James Ellroy è uno di quegli autori che si amano incondizionatamente, oppure si odiano incondizionatamente. La sua scrittura senza mezze misure incontra nei lettori reazioni altrettanto senza mezze misure. Personalmente, da lettore prima e da scrittore poi, ho sempre amato Ellroy fin da quando lo scoprii per caso, più di vent’anni fa.
Ellroy ha scritto numerosi romanzi, i quali sono suddivisi in tetralogie e trilogie e vanno, dunque, letti in ordine. Perfidia è un romanzo uscito qualche anno fa in Italia e dovrebbe costituire il primo capitolo di una nuova tetralogia. Questo romanzo è legato a tutti gli altri della serie (il primo è Dalia Nera) e vede in scena numerosi personaggi già noti a chi conosce lo scrittore americano, ma con una sostanziale differenza: in questo caso, tutti sono molto più giovani. Perfidia, infatti, è ambientato nel dicembre del 1941, ovvero prima degli eventi narrati in tutti gli altri romanzi. La nuova tetralogia, infatti, dovrebbe svolgersi negli anni in cui i personaggi non sono ancora diventati i professionisti del crimine che conosciamo, sebbene vivano già un mondo pieno di delinquenza.
Il mondo tratteggiato da Ellroy in quest’ultimo romanzo è ancora quello tipico del grande autore americano. Al suo interno troviamo tutti gli ingredienti caratteristici dei suoi testi, che sono, poi, le sue ossessioni: la città di Los Angeles, sotto una luce che più cupa non si potrebbe; le vicende di alcuni agenti della polizia, invischiati fino al collo in ogni genere di traffici e attività illegali; l’intreccio continuo tra il mondo dei delinquenti (sia di alto sia di basso livello) con quello delle forze dell’ordine e della politica e, infine, la sovrapposizione di un contesto storico autentico (in questo caso quello della Los Angeles e degli Stati Uniti nel momento dell’attacco giapponese a Pearl Harbor) in cui le azioni di personaggi realmente esistiti si mescolano a quelle di personaggi di finzione. Chi ha una certa dimestichezza con la scrittura di Ellroy conosce bene questi ingredienti.

Un breve cenno, ora, alla trama. Come ho già accennato, siamo all’inizio di dicembre del 1941 e la storia ha inizio precisamente il giorno 6 dicembre. Gli Stati Uniti sono sul piede di guerra con il Giappone, tanto che il giorno dopo, quando i giapponesi attaccheranno Pearl Harbor, la guerra ci sarà per davvero. L’odio razziale nei confronti dei cittadini nipponici residenti negli Stati Uniti è alle stelle, mentre gli incidenti per le strade sono già iniziati. In questo clima surriscaldato, nel quale la polizia descritta da Ellroy è intrisa di razzismo antigiapponese fino al midollo, avviene il ritrovamento dei cadaveri di un’intera famiglia di giapponesi, nella loro abitazione. È da qui che prende avvio la trama. Le autorità americane si stanno già preparando a quella che diverrà in breve tempo una delle più grandi persecuzioni attuate in territorio americano, l’internamento in massa dei cittadini giapponesi in grandi campi di detenzione. I responsabili della polizia e i politici stanno pregustando il grande colpo grazie al quale si arricchiranno a dismisura: la confisca dei beni di proprietà di quanti saranno internati. In un crescendo di tensione, elemento nel quale Ellroy eccelle, le indagini vanno avanti, mentre nelle strade di Los Angeles la violenza esplode senza freni, con gli agenti di polizia a tentare di arraffare tutto quanto possono e a infierire, a loro volta, sui giapponesi arrestati, deportati ed espropriati.
Perché leggere Perfidia, dunque, ed interessarsi a James Ellroy? Proverò ad indicare alcuni motivi, tra i molti. Dirò subito che non è una semplice questione di trama. Certo, Ellroy è un maestro negli intrecci complicati e nello srotolare sotto gli occhi del lettore una serie di complesse indagini di polizia, ma i punti di forza del libro sono anche altrove.
Innanzitutto, c’è la scrittura a mio parere da brivido di Ellroy. In questo romanzo lo scrittore americano pare davvero ispirato nel migliore dei modi. Non c’è una sola caduta di stile, né una sola perdita di tempo. Il romanzo procede tesissimo dall’inizio alla fine, intriso di un’atmosfera decadente, illustrata con maestria. Il tradimento messo in atto da un’intera nazione, nei confronti di una minoranza numericamente consistente dei suoi stessi cittadini, è reso in modo superbo da Ellroy, attraverso la descrizione della città di Los Angeles e dei suoi abitanti, ebbri di violenza, in modo crepuscolare e malinconico. Pur con la sua scrittura sempre sopra le righe, sebbene stavolta lo sia in modo forse più misurato del solito, Ellroy trasmette pienamente al lettore la tragicità non solo di un nuovo fronte di guerra che si apre, nel corso della seconda guerra mondiale, ma anche il conflitto senza esclusione di colpi ingaggiato dalle autorità americane nei confronti dei cittadini nipponici, sul fronte interno.

Emblematico, a tale proposito, il personaggio di Hideo Ashida, un chimico che lavora per la polizia, il quale vive la ventina di giorni durante i quali si svolge la narrazione sul filo del rasoio, consapevole che da un momento all’altro può perdere il lavoro e, a dire il vero, molto più di questo. È così, ad esempio, che si dipana lo strano rapporto di Ashida con uno dei grandi cattivi dei romanzi di Ellroy, Dudley Smith (chi non ha mai letto Ellroy, potrebbe conoscere ugualmente Smith, presente nel film L. A. Confidential ). Inoltre, tra i personaggi realmente esistiti che compaiono nel romanzo, ci sarà anche la famosa diva del cinema Bette Davis, ripresa qui nel fiore della bellezza e del successo, mentre Smith tenta di sedurla.

Un’ultima citazione, infine, la vorrei dedicare ai dialoghi messi in scena nel libro. Ellroy è sempre stato un maestro nei dialoghi, come d’altronde lo era Elmore Leonard, un altro grande scrittore americano di storie sopra le righe, al quale Ellroy deve molto. Si tratta di dialoghi sempre tesi, nei quali non si perde tempo in dettagli inutili. Sono dialoghi che sembrano sparatorie, tanto assomigliano a rasoiate, anche quando sono innocui. I dialoghi non sono mai facili da scrivere, ma Ellroy in questa storia ne fa quasi un’arte, a mio parere.
In conclusione, si tratta certamente di un libro che confermerà le sensazioni estreme suscitate dallo scrittore americano nei suoi lettori, ma vale comunque la pena di tentare di avvicinarsi a questo grande autore. Certo, la sua scrittura sempre due o tre tacche sopra le righe può scoraggiare più di qualcuno, ma personalmente continuo a ritenere Perfidia un capolavoro nel suo genere. Nessuno come Ellroy sa andare dritto al punto di un racconto e nessuno come lui sa centrare il cuore di tenebra dei suoi personaggi. Un libro da leggere, quindi, e che si finisce senza sentirne il peso, nonostante le quasi 900 pagine di lunghezza.