Dopo Stefan Zweig e Hans Herbert Grimm, ecco un altro scrittore vittima della crociata hitleriana contro i libri e la cultura.
Il nome di Edlef Köppen è perlopiù sconosciuto, oggi, perfino in Germania. Tutto merito di Hitler, come troppo spesso accade. La fama di Köppen, almeno quella relativa che si è diffusa molti anni dopo la sua morte, è legata al libro Bollettino di guerra, pubblicato per la prima volta nel 1929.

In questo libro Köppen ripercorre la sua esperienza di soldato durante la Grande Guerra, attraverso le vicende dell’artigliere Adolf Riesiger. A Rieseger, infatti, accadono esattamente le stesse cose accadute a Köppen tra il 1914 e il 1918. Le uniche variazioni inserite dallo scrittore tedesco riguardano (oltre al nome del protagonista) le denominazioni dei reggimenti e delle unità dell’esercito coinvolte negli eventi e, logica conseguenza, i nomi dei soldati incontrati da Riesiger nel corso della storia. Il racconto, quindi, non rappresenta altro se non le memorie di guerra di Köppen, con i nomi modificati.
Il testo inizia nell’agosto del 1914, in corrispondenza con lo scoppio della guerra e vede alternarsi continuamente il racconto della vita di Adolf Riesiger ad alcuni testi, autentici, delle dichiarazioni ufficiali dei politici, militari, giornalisti tedeschi e perfino testi delle inserzioni pubblicitarie leggibili sui giornali dell’epoca. Ne scaturisce un contrasto stridente tra la realtà dei soldati in prima linea e il mondo esterno, che sembra quasi sconfinare in una sorta di bolla surrealista. Si tratta di un vero capolavoro sconosciuto della letteratura di guerra, e non solo.

Riassumendo, Riesiger/Köppen si arruola all’indomani della dichiarazione di guerra e viene prontamente spedito in Francia come soldato semplice. Giunge in prima linea e inizia il suo apprendistato come combattente, partecipando direttamente (e contemporaneamente subendoli) a tutti gli orrori della guerra di trincea. Riesiger/Köppen farà, dapprima, il telefonista e poi l’artigliere, partecipando ad episodi bellici sempre più violenti, sempre più assurdi e sempre più concitati, fino ad arrivare ad una sorta di surreale battaglia fantasma contro un bosco vuoto, alla fine dell’estate del 1918. Riesiger/Köppen, costantemente accompagnato dalle dichiarazioni del Kaiser, di Hindenburg e Ludendorff e tanti altri che gli fanno da controcanto, passa tre anni sul fronte occidentale, per essere poi trasferito nell’autunno del 1917 su quello orientale, proprio in concomitanza con i colloqui di pace con i russi e la firma del trattato di Brest-Litovsk. Dopo alcuni mesi sul confine russo, quindi, Riesiger/Köppen viene nuovamente spedito in Francia per le offensive di primavera del 1918, momento in cui, per lui, riprende l’apocalisse della prima linea. Riprende, sì, ma in modo ancora più allucinato di prima. Nel mezzo di queste esperienze, Riesiger/Köppen viene perfino messo sotto inchiesta e interrogato dai suoi capi per sospetto pacifismo, in quanto si è scoperto aver inviato una innocua poesiola ad una rivista per soldati, nella quale si augura che la pace fiorisca presto nel mondo. L’artigliere supera in qualche modo l’indagine uscendone pulito ma, sul finire dell’estate del 1918, nel delirio della ritirata tedesca incalzata da inglesi, francesi e americani, il rifiuto della guerra che va elaborando ormai da diverso tempo, esplode senza rimedio. All’ennesimo ordine di attaccare i nemici (ordine da lui stesso reputato inutile poiché, ormai, tutti hanno notato come l’esercito tedesco si stia inesorabilmente ritirando), egli decide di rifiutarsi di obbedire. Così, dopo quattro anni di guerra, numerose ferite e più di una decorazione al valore militare, Riesiger/Köppen comunica al suo superiore la ferma volontà di non eseguire più ordini che comportino la messa a rischio della vita degli uomini che deve comandare. Sì, perché nel frattempo Riesiger/Köppen è stato promosso sul campo per meriti di guerra ed è diventato sottotenente. L’artigliere viene prontamente denunciato e, come punizione per la sua viltà, viene immediatamente trasferito nel manicomio di Magonza, dove resta fino all’armistizio. Il libro si chiude nell’autunno del 1918, quando ancora la pace non è arrivata, con gli infermieri dell’ospedale psichiatrico che, tentando di domandare a Riesiger/Köppen se finalmente vuole qualcosa da mangiare, si sentono rispondere: ‘Andate affanculo! La guerra non è ancora finita!’
È il grido di rifiuto definitivo della guerra, il cui senso è ‘Voi siete rappresentanti dell’autorità costituita e io non vi obbedirò più finché non sarà finita la guerra.’
Bollettino di guerra finisce qui, ma la vicenda di Köppen andò avanti. Rinchiuso nel manicomio di Magonza, trarrà poi beneficio dal caos scaturito in seguito alla nascita della Repubblica di Weimar. Fu grazie a questa situazione fuori controllo, infatti, se lo scrittore tedesco non fu processato davanti alla corte marziale, per il rifiuto di obbedire agli ordini di pochi mesi prima. Rischiava la revoca delle onorificenze militari e la condanna a morte. Fortunatamente non incappò in nessuna delle due. Uscito dall’ospedale psichiatrico, Köppen lavorò a lungo in radio e poi per il cinema. Nel 1929 pubblicò Bollettino di guerra, omettendo, come abbiamo visto, di far comparire il suo nome e le vere denominazioni dei reggimenti e battaglioni protagonisti delle azioni di guerra raccontate nel testo. Sperava, in questo modo, di evitare guai con il nuovo potere nazista che ormai, nel 1929, era arrivato ad occupare quasi tutta la scena tedesca. Köppen sperò invano. Qualche anno più tardi, i nazisti cominciarono a perseguitarlo. Il suo libro fu messo al bando e ne furono vietati la vendita e il possesso. Non contenti di tutto ciò, i nazisti gli fecero anche perdere il lavoro presso la casa di produzione cinematografica, che Köppen svolgeva da molti anni con unanime apprezzamento di tutti. Lo scrittore tedesco morì nel 1939, sostenuto soltanto da pochi familiari, per le complicazioni delle ferite ricevute durante la Grande Guerra in Francia. Il suo libro fu ripubblicato solo tanti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Facciamo, a questo punto, un passo indietro e tentiamo di fare uno sforzo di immedesimazione. Questo sforzo per immergerci in una realtà per noi quasi inimmaginabile può aiutare a capire da che parte stare ancora oggi, senza risultare un vacuo esercizio retorico.
1939, dunque: l’anno dell’invasione della Polonia da parte della Germania nazista. Questo sarà il punto di non ritorno per il mondo intero, sebbene siano ormai diversi anni che in Germania ogni diritto viene costantemente infranto. Da questo momento, però, la guerra dilagherà ovunque, fino ad arrivare in Russia, dove i nazisti incontreranno, quasi per la prima volta dallo scoppio del conflitto, la catastrofe. Köppen, però, giungerà a vedere soltanto la fase iniziale di tutto questo.
Nel corso degli anni Trenta, lo scrittore tedesco, colpito dalla messa al bando del suo libro Bollettino di guerra, incentrato sulla sua esperienza di reduce pluridecorato durante la Grande Guerra, perde anche il lavoro. Da questo momento le tracce da lui lasciate si fanno nebulose. È come se la volontà nazista di cancellarlo dalla scena avesse trovato un terreno perfetto per diffondersi. Nessuno parlerà più di Edlef Köppen fino almeno agli anni Sessanta. Il suo eccezionale libro memoriale non sarà più pubblicato fino allo stesso periodo. Il reduce della Grande Guerra, dopo essere sopravvissuto a quattro anni infernali da soldato, scompare letteralmente dai radar. Va detto, per inciso, che i reduci tedeschi ad andare incontro ad un tragico destino durante il Terzo Reich saranno parecchi, primi fra tutti i soldati ebrei della Grande Guerra.
Ma torniamo a Köppen. Soltanto pochi familiari lo aiutano a gestire una situazione ormai divenuta difficilissima, complici i problemi di salute derivanti dalle ferite rimediate durante la guerra del ’14 – ‘18. La salute di Köppen non si è mai ripresa del tutto e, soprattutto dalla metà degli anni Trenta, peggiora ulteriormente. Lo scrittore tedesco sta sempre più male, finché le sue condizioni appaiono critiche. Nel 1939, ormai, sta quasi sempre in casa, attorniato da pochi familiari decisi ad aiutarlo fino alla fine. Morirà in solitudine, dunque, a causa di ferite provocate da una guerra in cui ha indossato l’uniforme dell’esercito tedesco. Certo, si trattava dell’esercito del Kaiser e non di quello di Hitler, ma l’amarezza di Köppen deve aver raggiunto livelli difficilmente gestibili per chiunque. Noi non possiamo neanche immaginare cosa tutto ciò abbia potuto significare, ma dopo quattro anni di guerra e la permanenza per circa tre mesi in ospedale psichiatrico, Köppen è stato costretto ad assistere all’affermazione del potere nazista che, oltre a tutte le altre nefandezze di cui si è reso colpevole, ha messo al bando il suo libro, gli ha fatto perdere il lavoro e l’ha cancellato dalla memoria di un’intera nazione. Per sua fortuna, lui non lo vedrà, ma la rimozione forzata dalla coscienza nazionale perdura ancora oggi, nonostante il suo Bollettino di guerra sia stato pubblicato molte volte e tradotto in mezzo mondo. Il suo nome è ancora sconosciuto anche per tanti conoscitori della storia della Grande Guerra.
Inoltre, Köppen si ammala in modo irreversibile e trova la morte proprio nel 1939, un momento storico nel quale il nazismo, pur non essendo ancora padrone di tutta l’Europa, ha già iniziato a mettere a segno colpi incredibili sotto gli occhi di tutti. I Sudeti prima e la Cecoslovacchia poi, ad esempio, sono territori caduti nelle mani dei nazisti quasi senza colpo ferire. Ad essi va aggiunta anche l’Austria, annessa nel 1938 con grandi squilli di tromba. Ed ora tocca alla Polonia, anche se in questo caso le cose non risulteranno tanto semplici e le conseguenze saranno imprevedibili.
Lo scrittore di Bollettino di guerra, dunque, vede, durante la malattia, il nazismo arrembante trionfare ripetutamente. Dove potranno giungere Hitler e il branco di invasati raccolti attorno a lui, nel prossimo futuro? Tra l’altro, diversi dei grandi capi nazisti sono reduci della Grande Guerra, proprio come Köppen sebbene, inutile sottolinearlo, non posseggano né la sua caratura umana, né quella culturale. Che dire, ad esempio, di Herman Göring, il braccio destro di Hitler? O di Erwin Rommel, sul quale si è costruito un mito scollegato dalla realtà del personaggio? D’altronde, perfino Hitler aveva combattuto sul medesimo fronte occidentale conosciuto dallo scrittore tedesco. Hitler, però, pur essendo stato a sua volta decorato, non era mai andato oltre il grado di caporale.
Questo, dunque, è il mondo visto da Köppen dalla finestra di casa sua mentre giaceva a letto, o su una poltrona, vittima di ferite inflittegli durante un conflitto sperimentato anche da molti dirigenti e membri dell’apparato nazista, capaci soltanto di distorcerne la storia a proprio uso e consumo.

Ovviamente noi oggi non possiamo avere la capacità di immaginare realmente cosa deve aver provato Köppen, malato, nel constatare l’inutilità di quanto aveva sperimentato durante la Grande Guerra. Non possiamo immaginare il dolore che deve aver provato nel vedere il suo libro bruciato, proibito ed infine dimenticato. L’amarezza nel rendersi conto di dover morire nel mondo nazista del 1939 a causa di ferite provocate da un conflitto che, ben vent’anni prima, aveva prodotto il mostro ideologico governato da Hitler, deve essere stata enorme.
Mi piace ricordare, dunque, il grande scrittore tedesco con le parole finali del suo Bollettino di guerra. Mi sembrano perfette per descrivere la tempra di Edlef Köppen e restituirgli un po’ di quel rispetto che per troppo tempo gli è stato negato. Per lui, ormai, è troppo tardi. Per noi, forse, ancora no:
Ospedale militare della fortezza di Magonza
Reparto neurologia
Bollettino settimanale 6 – 13.9.1918
Reisiger, Adolf, sottotenente della riserva, 253º reggimento artiglieria da campagna. Reperto come nelle settimane precedenti. Il malato non dorme, non mangia, guarda dritto davanti a sé. Quando gli si rivolge la parola, in risposta ha sempre un’unica frase: “Siamo ancora in guerra. Andate affanculo!”